RECENSIONE LE STANZE BUIE DI FRANCESCA DIOTALLEVI NERI POZZA

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Le stanze buie * Francesca Diotallevi  Neri Pozza * pagg. 304





Si possono coltivare le passioni in un tempo ingeneroso? Qualcosa di torbido e inesprimibile affiora alla superficie di questo romanzo. Ed è indefinito, difficilmente afferrabile eppure persistente, come il profumo che porta addosso Lucilla Flores, protagonista di questa storia fosca e al tempo stesso delicata e malinconica. Francesca Diotallevi, con una capacità di raccontare fuori dal comune, ci porta in una piccola provincia del Piemonte della seconda metà dell’Ottocento, dentro la casa di un aristocratico dedito a vigneti e poco d’altro. Dove la servitù inganna il tempo di un lavoro sempre uguale con qualche ingenuo pettegolezzo, e dove arriva a servizio un maggiordomo che prende il posto del vecchio zio appena scomparso. Ma nessun dio oscuro e severo sarebbe stato capace di tanto dolore e di tanta ingiustizia: verso una bimba innocente, e verso la moglie del conte, Lucilla, una donna con il volto «velato di oscurità», smarrita dentro un segreto che non le si addice, che non dovrebbe appartenerle, lei, la creatura più lieve, sospesa e innocente che si possa immaginare. Le stanze buie è una dichiarazione d’amore alle passioni, alla poesia, alla bellezza della natura, a quel femminile che ci meraviglia ogni volta che si rivela a noi. La storia di un amore negato, la prepotenza di un mondo chiuso e meschino, capace soltanto di nascondere, di reprimere, di lasciare che esistenze intere si lascino coprire dalla polvere della storia senza riscatto e senza futuro. Tra queste stanze ferite dal pregiudizio e dall’indifferenza, Francesca Diotallevi trova, però, una luce e una delicatezza quasi preraffaelita e in questo contrasto affila una lama che taglia sempre perfettamente. E mostra che la felicità non è nelle cose del mondo, se il tempo è ostile.




1864.
Vittorio non avrebbe voluto lasciare Torino, la città dove è nato e cresciuto e dove aveva avviato una carriera da maggiordomo. Per esaudire però, la volontà dello zio defunto, rinuncia alla sua rilevante posizione e prende il suo posto a servizio della famiglia Flores. Vittorio percepisce subito una strana atmosfera e un tempo che sembra scorrere lentamente. C'è qualcosa in quella casa che cozza con la razionalità che lo contraddistingue. 

Amedeo Flores è il conte proprietario della villa. Uomo il cui fisico rivela il tormento interiore mentre quello di Lucilla, la consorte, si riversa in un silenzio e un'attenzione indirizzata solo verso Nora, la loro unica figlia. Un'inquietudine che Vittorio, in un primo momento, non tende a considerare, non gli appartiene fino a quando inizia a lambire il suo animo per poi coinvolgerlo.
Da cosa deriva il tormento che attanaglia la casa e i loro abitanti? È lo stesso Vittorio che ce lo racconta facendoci slittare su due piani temporali e svelando un mistero che ha rappresentato per me un colpo di scena. 

Le stanze della villa sembrano voler parlare, raccontare ciò che invece viene tenuto celato da tutti, anche da Ottavia, cameriera personale della contessa. Lei sa, ma non può aprire le porte delle stanze buie né quelle della memoria che porterebbero di nuovo a galla dolore e richiesta di perdono che non potrà essere ascoltata.


La Diotallevi regala un classico raffinato che non pesa affatto, ma resta dentro con quella scrittura delicata e rimane tale anche quando si fa più cupa per narrare momenti più "gelidi".
Descrizioni minuziose evidenziano oltre che aspetti fisici e caratteriali anche tormenti psicologici, restituendo vibrazioni che mi hanno portato a desiderare di avere vicino a me Vittorio per poterlo abbracciare.


Mi chiedo perché l'ho fatto. Perché dopo tutti gli anni trascorsi desiderando solo dimenticare, sto cercando di riportare in vita un passato con cui ho fatto i conti ogni giorno della mia vita da quarant'anni a questa parte. Come se il dolore avesse bisogno di essere alimentato da altro dolore.  

Un romanzo denso di emozioni sostenute da una penna seria, ma che dà spazio a sentimenti che ammorbidiscono crudeltà e pregiudizi.







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