29 dicembre 2020

RECENSIONE SORELLA DI NEVE

SORELLA DI NEVE * Maja Lunde * Giunti Editore * 192 pagg.


La vigilia di Natale è alle porte e Christian sta per compiere 11 anni. Di solito è un giorno magico, il più bello dell'anno, accompagnato dal suono del fuoco che scoppietta nel camino, dalle luci dell'albero di Natale e delle candele tremolanti. Ma quest'anno tutto è diverso, Christian e la sua famiglia stanno affrontando un terribile lutto e l'atmosfera del Natale è del tutto scomparsa. Poi, un giorno, Christian incontra Hedvige, una ragazza allegra e grande amante del Natale, e comincia a credere che forse non tutto è perduto. Ma qualcosa di strano accade nella casa di Hedvige: chi è il vecchio che si aggira per la sua casa? E perché Hedvige è sempre così riservata? 

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Appena ho iniziato a leggere questo libro ha cominciato a nevicare. Sì! Fiocchi di neve sono scesi dolci dolci nel mio cuore. Nel mio animo si è fatto silenzio.
Quel silenzio che solo la neve quando cade giù sa creare.
Tutto intorno a me ha inizato a tacere.

Era necessario fare spazio a Christian e Hedvige. Troppo importante la loro storia.

 

Perché?

Perché sfogliare le pagine, scorrere le parole di questo romanzo provocava in me un senso di sacralità?

Pian piano il motivo si è svelato.
Le semplici parole dei ventiquattro capitoli unite alle magnifiche illustrazioni hanno creato un’atmosfera di pace e serenità che non provavo da diversi anni. Tanti.

E la memoria è tornata a quel ricordo assopito: il suo primo Natale. Primo ed unico. Quello in cui ci aveva regalato sorrisi delicati che aprivano il cuore, occhi che brillavano come la stella cometa.

Era il nostro Natale.

E il Natale rischiava di andar via con lei se non fosse arrivata altra vita a scuoterci per gridarci: “Continuate a vivere!”.

Così, violentando il nostro dolore, sollevandoci da sepolcri in cui avevamo deciso di trascorrere i nostri giorni, scuotendoci dal torpore dell’apatia che ci stava cullando, abbiamo iniziato a viere nuovamente e a bearci della nuova vita che si era presentata ai nostri occhi.

Si era assopito il ricordo di lei nel mio cuore. Ogni tanto c’è qualcosa, qualcuno che me lo risveglia e io ringrazio perché non voglio dimenticare.

Voglio vivere ricordando.

Come posso non dire di essermi innamorata di questo libro se è ciò che mi ha provocato?

La sua struttura (il libro è diviso in 24 capitoli) si è prestata a una perfetta lettura d’avvento che, goccia dopo goccia anzi, fiocco dopo fiocco, ho gustato nella mia mente.

Ho chiuso il libro con un sorriso sul mio volto che godeva del ricordo del suo.


 

21 dicembre 2020

IL MUSEO DELLE PROMESSE INFRANTE

 

Il museo delle promesse infrante *  Elizabeth Buchan * Nord * pagg 396


Esiste un museo, a Parigi, dove le persone non fanno la fila per ammirare i capolavori dell’arte. Dove non sono custoditi né quadri né statue. Un museo creato per conservare emozioni. Ogni oggetto in mostra, infatti, è il simbolo di un amore perduto, di una fiducia svanita. Un cimelio donato da chi vorrebbe liberarsi dei rimorsi e andare avanti. Come la stessa curatrice, Laure, che ha creato il Museo delle Promesse Infrante per conservare il suo ricordo più doloroso: quello della notte in cui ha dovuto dire addio al suo vero amore. Quando Laure lascia la Francia e arriva a Praga, nell’estate del 1986, ha l’impressione di essere stata catapultata in un mondo in cui i colori sono meno vivaci, le voci meno squillanti, le risate meno sincere. Laure lo capisce a poco a poco dagli sguardi spaventati della gente, dalle frasi lasciate in sospeso: questo è un Paese che ha dimenticato cosa sia la libertà. Eppure ci sono persone che ancora non si rassegnano. Come Tomas. Laure lo incontra per caso, a uno spettacolo di burattini. Ed è un colpo di fulmine. Per lui, Laure è pronta a mentire, lottare, tradire. Ma ancora non sa di cosa è capace il regime, né fin dove dovrà spingersi per avere salva la vita. Laure si è pentita amaramente della scelta che ha dovuto compiere tanti anni prima ed è convinta che non avrà mai l’occasione per aggiustare le cose. Eppure ben presto scoprirà che il Museo delle Promesse Infrante non è un luogo cristallizzato nel passato. È un luogo che guarda al futuro, in cui le storie circolano e spiccano il volo verso mete inaspettate. A volte raggiungono luoghi lontanissimi, ricucendo i fili strappati del destino. E a volte possono perfino giungere alle orecchie di un uomo cui non importa nulla degli sbagli e dei rimpianti, ma che aspetta solo un indizio per ritrovare il suo amore perduto…


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Questo romanzo è la ricerca di un perdono.

Un perdono che potrebbe dare pace all’animo di Laure.

In cerca di questa redenzione, Laure intanto aiuta gli altri mettendo in piedi un museo che raccoglie oggetti legati a promesse mai mantenute.

 

Eppure, non conosceremo Laure attraverso la sua occupazione.

L’ambiente del museo, con le sue storie, rappresenterà un semplice sfondo su cui si presenteranno i vari flashback che ci porteranno da Parigi a Praga.

 

Ritorneremo nel 1986 quando Laure lascia la Francia per fare da baby sitter a due bimbi, in una famiglia di Praga. Si troverà catapultata in un contesto storico segnato dalla dittatura comunista e per amore, sarà colpita anche lei dal regime.

Non è uno spoiler se dico che Laure riuscirà a scappare: l’incipit, ci parla della sua fuga.

Al centro del romanzo c’è la sua storia con Tomas e il loro amore, segnato dalla mancanza di libertà nell’essere vissuto.

L’evoluzione della loro relazione ci terrà con il fiato sospeso, ma non abbastanza da suscitare la voglia di sapere come andrà a finire.

La trama è risultata molto interessante e lo sarebbe stata molto di più se dipanata in modo diverso.

Mi sarei aspettata un’attenzione più’ particolare per il museo con le sue storie. Essendo frutto del vissuto di Laure (decide di metterlo in piedi per una sua promessa mancata), lo immaginavo più al centro dell’attenzione e credo che la scelta del titolo data al romanzo mi abbia portato fuori strada.

La storia corre fluida, anche se alcune pagine potevano essere sintetizzate o sostituite con approfondimenti sulla persona di Laure: hanno diluito un po’ troppo la vicenda, facendo perdere per strada la passione, l’ansia, il coinvolgimento emotivo instillato in un primo momento.

 Pensavo di essere presa per mano e correre con passione. Invece, ho fatto una passeggiata con Laure e mi ha parlato poco di sé.


04 dicembre 2020

RECENSIONE OGNI VOLTA CHE TI PICCHIO

 

Ogni volta che ti picchio * Meena Kandasamy * edizioni e/o *  pagg. 235


India dei giorni nostri. Lei è una scrittrice, una poetessa, una giovane attivista dal passato tormentato e il cuore spezzato. Lui è un docente universitario, un ex guerrigliero maoista, un uomo che, parlando della rivoluzione, sembra più intenso di qualsiasi poesia, più commovente di qualsiasi bellezza. Si conoscono, si innamorano, decidono in fretta di sposarsi. La coppia si trasferisce in una lontana città costiera dell'India, senza vincoli né programmi, pronta a un salto nel vuoto che li vedrà protagonisti insieme. Lì, dietro le porte ben chiuse di una villetta circondata da un giardino selvaggio, il marito perfetto cambia volto, trasformandosi poco a poco in un carceriere e in un carnefice. La limitazione delle libertà della moglie – vestiti, trucco, capelli; e poi: email, telefonate, fino al divieto di scrivere – traccia l'inizio di una spirale di violenza e sopraffazione che vedrà la donna sempre più sola e terrorizzata, abbandonata anche dalla famiglia di origine. Finché lei stessa non deciderà di reagire riprendendo in mano il controllo della propria vita. Il romanzo di Meena Kandasamy è un pugno allo stomaco. Non solo perché porta in scena, passo dopo passo, la lenta discesa agli inferi della violenza domestica, scardinandone i meccanismi di manipolazione, di ricatto emotivo e pressione sociale, accompagnando il lettore nelle stanze solitarie dell'abuso attraverso le pieghe del linguaggio e le armi delle tecniche narrative.



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Meena è una scrittrice.

Lui è un docente universitario.

Un matrimonio organizzato in poco tempo è per lei preludio di una grande storia d’amore, ma si rivelerà una prigione, la sua casa una stanza delle torture.

C’è poco da dire su quello che la scrittrice ci racconta, su ciò che ha subito. Poco da dire, ma molto da leggere, purtroppo.

Le violenze iniziano poco dopo il grande giorno e sono giustificate, a dire del carnefice e di una società che mira a evitare il “dire della gente”, da un suo passato di guerriero maoista, di politico rivoluzionario.

Ogni colpo inferto, ogni stupro perpetrato ai danni della sua donna rappresenta l’attuazione di precise tecniche: “ciclo dell’abuso, colpevolizzazione della vittima, ricatto emotivo, paura, obbligo, senso di colpa, coercizione riproduttiva, mascolinità tossica”. A ciò aggiungete la minaccia di applicare torture conosciute in seguito ai suoi trascorsi da combattente e modalità di uccisione atte a far sembrare tutto un incidente.

 

Cosa trattiene la vittima ad una vita del genere?

La speranza.

la speranza mi impedisce di togliermi la vita. La speranza è quella voce gentile nella testa che mi impedisce di scappare…la speranza è l’ultima a morire.

A volte mi ritrovo a desiderare che la speranza fosse morta prima, senza un abbraccio né un biglietto d’addio, e mi avesse costretta ad agire”.

Difficile. Molto difficile parlare di questo romanzo, la sua lettura è stata altalenante nelle emozioni: coinvolgimento, incomprensione, stordimento, orrore, rabbi, perplessità. Un’altalena che è diventata un apice continuo al termine della lettura. Alla fine del testo infatti, viene riportata una recensione pubblicata su “The Wire” con cui mi sono stati tolti fondamentalmente due interrogativi:

-        1) Può una storia del genere essere romanzata in modo da fornire perplessità sulla sua veridicità?

-        2 )Estraneità della protagonista: in alcuni punti sembra che racconti una storia vissuta da un’altra donna.

L’autrice ci spiega che la struttura del romanzo si è resa necessaria:

- perché ha consentito di intrappolare il carnefice “nel metro cronologico della poesia che ha scelto”;

- perché da un punto di vista legale si tratta di una questione ancora aperta;

- da un punto di vista filosofico (e così il mio secondo dubbio si è dissolto), “raccontare puo’ essere una catarsi, ma per lei è una seconda, più raffinata forma di castigo. Sono la donna incaricata di parlare al posto suo. Sono la donna che fa le veci dell’altra donna, quella che odia far parte di questa storia e vuole tenersi fuori da ogni sua narrazione”.

 

Una lettura che è capitata casualmente in una settimana in cui si ricordava, il 25 novembre, la giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Non amo queste celebrazioni. Possibile ricordare in un giorno ciò che accade quotidianamente e che, quotidianamente si nasconde come polvere sotto il tappeto dell’indifferenza?

La storia di Meena è vera. È vera come molte altre.