23 gennaio 2022

RECENSIONE LE OSPITI SEGRETE

 

LE OSPITI SEGRETE * John Banville * Guanda Editore * pagg. 336




Londra, 1940. La capitale è devastata dai bombardamenti tedeschi, ma il Re decide di rimanere in città per mandare un messaggio forte e chiaro a Hitler e per dimostrare ai sudditi la propria vicinanza. Tuttavia non accetta che le sue figlie, Elizabeth e Margaret, corrano rischi e – grazie a un'operazione top secret che coinvolge ministri, ambasciate e servizi segreti – le fa trasferire nella neutrale Irlanda, dove vengono accolte come ospiti dal duca di Edenmore, un lontano parente della famiglia reale, in una dimora isolata e diroccata. Protette dall'anonimato e controllate a vista dall'agente segreto britannico Celia Nashe e dal detective della polizia irlandese Strafford, le due principesse andranno alla scoperta di quella tenuta così nuova e misteriosa e dei suoi strani abitanti – come lo stesso duca di Edenmore, o l'austera e indefessa governante, o ancora Billy, il fattore enigmatico e solitario che sembra quasi non badare a loro, e per il quale entrambe hanno un debole che non osano confessare. Ma l'identità delle due ragazzine non può essere celata per sempre: le voci, poco a poco, iniziano a girare, e se dovessero arrivare all'IRA la vita delle principesse – e di conseguenza la Corona stessa – potrebbe essere davvero in pericolo. Un romanzo che indaga il lato privato della più famosa e discussa famiglia inglese, sullo sfondo di un periodo storico ancora fonte di inesauribile ispirazione


🌟


Seconda guerra mondiale. 

Il re inglese decide di non scappare dai bombardamenti tedeschi, ma vuole mettere in salvo le sue figlie. 

Da qui un'operazione top secret viene organizzata per trasferirle in Irlanda, celando la loro vera identità per paura di interventi da parte di indipendentisti irlandesi. 

Le ragazze saranno ospitate presso una dimora appartenente a un duca, lontano parente, che certo non sarà preparato ad accogliere le figlie del re. Non mancano infatti, nelle prime pagine, dei tratti umoristici che evidenziano la goffaggine del proprietario e della servitù della dimora. 

Il duca la considererà quasi un'occupazione. Insieme alle figlie del re, infatti, ci sono un' agente dei servizi segreti, un poliziotto, l'ambasciatore inglese e diversi uomini dell'esercito sparpagliati lungo il perimetro della villa. 

Questo romanzo viene presentato come un giallo a sfondo storico, ma io non ho trovato assolutamente nulla che mi porti ad identificarlo come tale. 

Innanzitutto manca una caratterizzazione dei personaggi. In particolare, proprio di quelle che dovrebbero essere le protagoniste, le figlie del re, Elizabeth e Margareth che compaiono sporadicamente, privandole del ruolo centrale a cui dovrebbero essere destinate. 

Occorre arrivare a pag. 179 per veder muovere qualcosa: le labbra delle fanciulle, parlano! Miracolo!.

È un libro che poteva ridursi ad un centinaio di pagine (forse sono pure troppe). Avvenimenti un po' più concitati, coinvolgenti, si presentano solo nelle ultime pagine, ma nonostante ciò vengono raccontati in maniera frettolosa, confusionaria, facendo perdere il mordente che sembrava stesse acquisendo. 


L'autore si dilunga, al limite del noioso, sui personaggi che reputavo secondari, sulle loro caratteristiche, sulle descrizioni degli ambienti e sui ricordi del loro passato. Qualsiasi oggetto o situazione che richiama il loro trascorso porta a perdersi nei racconti dei loro ricordi, mentre per metterci a corrente dell'evento che scatenerà un po' più di movimento, Banville lo fa in due righe. Due. 

Il fulcro del romanzo, la sorte di Elizabeth e Margareth, diventa un aspetto marginale. 

Il libro manca di approfondimenti storici: questione Irlanda/Inghilterra è presentata con superficialità. Sono brevi i rimandi alla situazione bellica in corso.  La penna di Banville è arida di pathos. 

Ciò porta, a mio avviso, a non poterlo definire assolutamente né un giallo e né giallo storico. 




20 gennaio 2022

RECENSIONE FATE IL VOSTRO GIOCO

 

FATE IL VOSTRO GIOCO * Antonio Manzini * Sellerio editore Palermo * pagg. 391




«Non ci abbiamo capito niente, Deruta. Forza, al lavoro». Due coltellate hanno spento la vita di Romano Favre, un pensionato del casinò di Saint-Vincent, dove lavorava da «ispettore di gioco». Il cadavere è stato ritrovato nella sua abitazione dai pochi vicini di casa dell'elegante palazzina, e serra in mano una fiche, però di un altro casinò. Rocco Schiavone capisce subito che si tratta «di un morto che parla» e cerca di decifrare il suo messaggio. Si inoltra nel mondo della ludopatia, interroga disperati strozzati dai debiti, affaristi e lucratori del vizio, amici e colleghi di quel vedovo mite e ordinato. Individua un traffico che potrebbe spiegare tutto; mentre l'ombra del sospetto sfiora la sua casa e i suoi affetti. Ed è ricostruendo con la sua professionalità la tecnica dell'omicidio, la scena del delitto, che alla fine può incastrare l'autore. Ma il morto è riuscito a farsi capire? Forse non basta scavare nel passato: «Favre ha perso la vita per un fatto che deve ancora accadere». Il successo dei libri di Antonio Manzini deve probabilmente molto al loro andare oltre la semplice connessione narrativa tra una cosa (il delitto) un chi (il colpevole) e un perché (il movente). Con le inchieste del suo ruvido vice-questore, Manzini stringe il sentire del lettore a una vicenda umana complessa e completa. Così i suoi noir sono in senso pieno romanzi, racconto delle peripezie di un personaggio che vale la pena di conoscere, sentieri esistenziali. Sono, messi uno dietro l'altro, la storia di una vita: Rocco Schiavone, un coriaceo malinconico che evolve e cambia nel tempo, mentre lavora, ricorda, prova pietà e rabbia, sistema conti privati e un paio di affari. Sicché, in "Fate il vostro gioco", il vice-questore riconosce apertamente un semifallimento: ha smascherato il criminale ma troppe cose non tornano. Resta un buco nella sua consapevolezza che gli rimorde come una colpa, e deve colmarlo. Lo farà, si ripromette, la prossima volta e, per il lettore, nella prossima avventura.



🌟🌟🌟🌟


Un altro inverno lontano dal sole e dal cielo azzurro.

Aosta riserva cieli coperti, nevicate e gelo che Schiavone non riesce a digerire.

 Così com'è difficile accettare una routine fatta di "rottura di coglioni" e di questa fanno parte anche i suoi collaboratori ormai riconoscibili persino dal modo in cui bussano alla sua porta.

Cosa porterà il vicequestore a mettersi a lavoro? 

Questa volta un omicidio che si svolge nell'ambiente dei casinò. 

La ludopatia sarà il tema centrale del romanzo. Farà da "trait d'union" tra il lavoro e la vita privata di Schiavone ormai preso totalmente dal destino di Gabriele, il vicino di pianerottolo. 

La grande capacità di osservazione di Rocco, unita al lavoro della sua squadra aiuterà a risolvere l'omicidio, ma lascerà il vicequestore con un profondo senso di insoddisfazione perché c'è ancora qualcosa che non quadra che viene rimandato al romanzo successivo.

Inutile dirlo, perché ormai sapete quanto ami questa serie, ma Schiavone è una certezza in grado di coinvolgerti nella storia, nell'indagine e, allo stesso tempo toccarti il cuore, inaspettatamente. 

16 gennaio 2022

RECENSIONE RIEN NE VA PLUS




RIEN NE VA PLUS * Antonio Manzini * Sellerio Editore Palermo * pagg. 310



Rien ne va plus" prende il via poche ore dopo gli eventi che concludono il precedente romanzo, "Fate il vostro gioco"; le indagini sull'omicidio di Romano Favre, il pensionato del casinò di Saint-Vincent dove lavorava da «ispettore di gioco», ucciso con due coltellate, si sono concluse con l'arresto del colpevole, ma il movente è rimasto oscuro. Schiavone non può accontentarsi di una verità a metà. Mentre si mobilita insieme alla sua squadra di poliziotti, ben altra coltellata lo pugnala: Enzo Baiocchi, l'assassino di Adele, la vecchia amica di Rocco uccisa mentre dormiva in casa sua, ha chiesto di parlare col giudice Baldi rivelando un segreto che riguarda proprio Schiavone, una pagina inconfessabile del suo recente passato che potrebbe sconvolgergli per sempre la vita. Turbato, incerto su come muoversi, Rocco si ritrova a indagare su una rapina: è scomparso un furgone portavalori che doveva consegnare alla banca di Aosta l'incasso del casinò. Ma ad Aosta non è mai arrivato, se ne sono perse le tracce dopo una curva e sembrerebbe svanito nel nulla, se non fosse che l'autista viene ritrovato semiassiderato in Valsavarenche.




🌟🌟🌟🌟 



La pioggia non abbandona Aosta.

 È martellante così come l'idea che il caso non sia chiuso. 

Ufficialmente, lo abbiamo letto nel precedente volume, il caso è stato risolto, ma non per il vicequestore Schiavone. C'è qualcosa che non quadra e questa convinzione è un tarlo che non dà pace a Rocco. Lo capiremo dalla penna di Manzini che, sebbene con un tono più sopito rispetto ai precedenti volumi, ci rende sempre partecipi dei sentimenti del vicequestore e dei vari attori presenti sulla scena. 

Con la vita professionale di Rocco si interseca inevitabilmente anche quella privata. Anche lì c'è un tarlo che rode, ma è più difficile da eliminare. Appartiene al passato; a quel passato in cui sono prigionieri gli occhi di Schiavone che non guardano più come sei anni prima. L'essere ancorato, quasi definitivamente, alla sua storia con lati oscuri ancora da illuminare, non gli consente neanche di godere di quei raggi di sole che, ogni tanto, squarciano le nuvole che sembrano aver trovato la loro dimora definitiva su Aosta. 


"Lo spettacolo avrebbe mozzato il fiato a chiunque, tranne a Rocco Schiavone, che guardava la potenza e la bellezza della natura con gli occhi tristi di un cane abbandonato".


Manzini sa come incatenarci alla storia che, seppur meno coinvolgente delle altre a mio avviso, mi ha dato la sensazione di una passeggiata in pianura prima di affrontare una salita. 


"L'unico dettaglio che era riuscito ad amare di Aosta " è il profumo di legna bruciata: l'unico che lo riporta alla sua città: custode dei segreti e dei tarli del vicequestore. 

04 gennaio 2022

RECENSIONE LORO

 


LORO * Roberto Cotroneo * Neri Pozza * pagg.192 



Può il memoriale di una giovane donna sconvolgere a tal punto, da turbare persino coloro che si avventurano abitualmente nei recessi più oscuri della mente? È quanto accade in queste pagine, nelle quali Margherita B. narra dei fatti accaduti nel 2018, quando prende servizio, stando alle sue parole, come istitutrice presso una famiglia aristocratica, gli Ordelaffi, in una magnifica villa progettata da un celebre architetto alle porte di Roma: la casa di vetro. Il compito che le viene affidato è prendersi cura delle gemelline Lucrezia e Lavinia. Nella casa di vetro, tutto sembra meraviglioso quell'estate. Ogni cosa è scelta con gusto, con garbo, con dedizione. Le gemelle, identiche, sono una meraviglia di educazione e di talento. Lucrezia ama il pianoforte, Lavinia l'equitazione. Ma pochi giorni dopo l'arrivo di Margherita cominciano a rivelarsi presenze terrificanti. Sono loro, dicono le bambine, gli antichi ospiti della casa, tornati per riportare in luce l'orrore. "Loro" rivisita le ossessioni che da anni segnano la narrativa di Roberto Cotroneo: il tema della verità e dell'ambiguità, del bene e del male, della violenza, del sacro e della felicità, quando brucia fino a farsi cenere. Le sue pagine, oscure e strazianti, si muovono per territori sinistri, e indagano soprattutto quella terra di nessuno che è la nostra mente. Un romanzo che, nel suo finale del tutto imprevedibile, è un omaggio alla grande letteratura e, nello stesso tempo, un racconto nitido che si muove dentro uno scenario torbido e sa guardare oltre l'ignoto. Alla fine, a prevalere saranno il fallimento di ogni ragione e il trionfo di un mondo che non è di questo mondo. Perché, come ha scritto Nietzsche: «quando scruterai in un abisso, anche l'abisso scruterà dentro di te».


🌟🌟🌟🌟🌟


Non ci sono preamboli, antefatti. 

Entriamo subito nel vivo della storia grazie alla voce della protagonista, Margherita B., espressa nel suo memoriale.

Subito ci indica che i fatti che racconterà saranno assurdi e così l'inquietudine e una certa ansia iniziano a fare capolino per progredire in una escalation, grazie ad una scrittura sofferente, lacerata da uno spavento combinato con il dolore. 

Una villa la cui costruzione fatta di vetri e non di muri, appare leggera, quasi sospesa, si scontra con un clima pesante, fatto di silenzi "mortali, eterni, inafferrabili, presenti, concreti, corrotti", spezzati dai versi delle gazze in giardino.

La luminosità del mese di luglio inganna dando un apparente sospiro di sollievo. L'ansia, la paura riprendono per poi esplodere in violenti temporali con lampi e fulmini.

La descrizione dell'ambiente è accurata.

Il quadro è dipinto nei minimi particolari.

Dobbiamo avere ben chiaro dove appaiono le presenze terrificanti .

La scrittura è diretta come gli sguardi degli "antichi ospiti della casa", come quello delle gemelle, ottime direttrici di un'orchestra tetra.  Sembra di avvertirli su di noi mentre scorriamo parole che li definiscono a volte vuoti, altre volte cattivi, altre come capaci di comunicare più di tante parole.

"Questa però è una storia dove la linea che divide il reale dall'irrazionale non è soltanto sottile, ma indistinguibile"

Il disordine interiore è presente anche quando assistiamo ad una sorta di elaborazione, da parte di Margherita, dello spavento, considerando ciò che avveniva, come solo diretto a lei: doveva proteggere quindi le gemelle, doveva affrontare le presenze perché solo così se ne libererà e potrà tronare la serenità nella villa (e in noi lettori).

Sarà così? Chi è veramente in pericolo? lei o le gemelle? o noi?

Un finale spiazzante non ha dato la serenità cercata, ma ha reso questo primo romanzo del 2022 una lettura assolutamente consigliata 

02 gennaio 2022

RECENSIONE C'ERA DUE VOLTE

C'ERA DUE VOLTE * Franck Thilliez* Fazi editore * pagg. 500

 




Nel 2008, in un piccolo paese di montagna, il tenente Gabriel Moscato è alla disperata ricerca della figlia, diciassettenne piena di vita scomparsa da un mese. Uniche tracce la sua bicicletta, i segni di una frenata e poi più nulla. Deciso a indagare sull’hotel due stelle dove la ragazza aveva lavorato l’estate precedente, Moscato si stabilisce nella stanza 29, al secondo piano, per esaminare il registro degli ospiti. Legge attentamente ogni pagina, prima di addormentarsi, esausto dopo settimane di ricerche infruttuose. All’improvviso, viene svegliato da alcuni suoni attutiti. Quando si avvicina alla finestra, si rende conto che piovono uccelli morti. E ora è nella stanza 7, al pianoterra dell’hotel. Si guarda allo specchio e non si riconosce; si reca alla reception, dove apprende che è il 2020 e che sono dodici anni che sua figlia è scomparsa: la memoria gli ha giocato uno scherzo crudele. Quello stesso giorno il corpo di una giovane donna viene trovato sulla riva del fiume Arve...


🌟🌟🌟🌟🌟


Già dalle prime pagine l'atmosfera è ben delineata.

Alloggiare in un hotel che esiste solo perché vicino c'è una prigione. Altrimenti quale turista andrebbe in uno sperduto paese di montagna adagiato ad una parete di roccia? Aggiungiamoci una scena alla Hitchcock presa da "Gli Uccelli" (o se volete dal racconto di Daphne du MAurier a cui si ispirò il famoso regista) e il quadro è fatto. 


La trama si presenta, infatti, composta da fili apparentemente slegati, ma poi la genialità dell'autore li fa annodare tra loro, per darci l'illusione di una grande confusione e, solo dopo aver terminato tutti gli intrecci, ci troviamo ad ammirare un quadro delineato in tutti i suoi aspetti. 

Poveri illusi!

Niente è scontato con Thilliez. Niente. 

Se la storia del romanzo sembra chiusa, lo scrittore con una sua nota (DA LEGGERE ASSOLUTAMENTE ALLA FINE) è in grado di farci saltare dalla poltrona per urlargli contro, come se stesse dinanzi a noi!

Con questo suo secondo romanzo da me letto, Thilliez si conferma non solo uno scrittore in grado di costruire thriller per nulla scontati e banali, ma anche di corredarli di quel tocco di "pepe", fatto di enigmi da risolvere che ti fanno solo aumentare la voglia di leggere ancora e di sperare che il seguito esca al più presto.