RECENSIONE 'FIORI PER ALGERNON' DI DANIEL KEYES - TEA

14:00

 

 
Fiori per Algernon * Daniel Keyes * Tea* pagg. 304



Algernon è un topo, ma non un topo qualunque. Con un'audace operazione, uno scienziato ha triplicato il suo QI, rendendolo forse più intelligente di alcuni esseri umani. Di certo più di Charlie Gordon, che, fino all'età di trentadue anni, ha vissuto nella dolorosa consapevolezza di non essere molto... sveglio. Ma cosa succederà quando la stessa operazione verrà effettuata su Charlie? Quale sorte accomunerà la sua esistenza a quella del fedele amico Algernon? "Fiori per Algernon" è ormai considerato uno dei grandi romanzi del XX secolo, un capolavoro della narrativa di anticipazione: il diario di un uomo che «voleva soltanto essere come gli altri», un romanzo definito dal "New York Times" «magistrale e profondamente toccante», un'opera che ha ispirato film, serie televisive, musical, che ha vinto il Premio Hugo e il Premio Nebula e ha venduto oltre cinque milioni di copie nel mondo.


Mi sono approcciata a Daniel Keyes diversi anni fa con la lettura de "Una stanza piena di gente", un thriller psicologico altamente coinvolgente, basato su una storia vera. Non approfondii la produzione letteraria dell'autore e non feci caso neanche alla specifica sulla copertina del testo che presentava Keyes come autore del libro "Fiori per Algernon". È stato il passaparola sui social a farmi aprire gli occhi e a recuperare il testo che si colloca decisamente dalla mia comfort zone. 
Fiori per Algernon, infatti, nasce come racconto di fantascienza pubblicato nel 1959, ma poi ampliato nel 1966 per diventare un vero e proprio romanzo. 

Algernon è un topo, uno di quelli utilizzati in laboratorio come cavia; in questo caso lo studio e gli esperimenti effettuati sono relativi all'aumento del quoziente intellettivo dopo aver sottoposto l'animale a un intervento chirurgico. 
L'osservazione viene traslata poi, dall'équipe di medici che segue il progetto, dal topo all'uomo, nella persona di Charlie Gordon, disabile mentale. 
È proprio Charlie a parlarci, a raccontarci della sua evoluzione grazie alla stimolazione chirurgica a cui viene sottoposto. 
La struttura è quella di una sorta di diario psicologico nato dall'esecuzione di un compito: scrivere tutto ciò che sente, prova e osserva. Ne scaturiscono dei rapporti sui progressi che non si presentano affatto come dei meri elenchi asettici, distaccati o classici rapporti derivanti dalla compilazione di questionari, o meglio, questa potrebbe essere la prima impressione, ma poi…

Qui è Charlie che si apre completamente per lasciare un senso di coinvolgimento, tenerezza e commozione che per me non è stato subito evidente: è esploso solo al termine della lettura per farmi rivedere con occhi diversi tutto il romanzo che avevo appena concluso.

Se con, "Una stanza piena di gente", una sorta di sorpresa o colpo di scena era prevedibile per il genere, qui è stato assolutamente inaspettato perché rappresentato da due mani, quelle di Charlie che, piano piano mi hanno preso per portarmi nel suo mondo, chiedendo, con un urlo silenzioso, non di comprenderlo, ma di rispettarlo.
 
Il romanzo, ripeto, è stato scritto nel 1959, ma è di un'attualità sconcertante. Un tema etico e morale come il trattamento dei disabili mentali, l'utilizzo dell'intelligenza artificiale sono stati già anticipati quasi 70 anni fa. 

Il rapporto di Charlie con Algernon poi, è una relazione che si consolida man mano che Charlie prende coscienza del fatto che il topo non è altro che lui in versione animale. 
Questo forse è l'aspetto più straziante che esplode al termine del romanzo e che mi ha fatto avvertire la stretta di mano di Charlie e la profonda solitudine in cui ha vissuto. 






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