RECENSIONE 'IO CHE TI HO VOLUTO COSÌ BENE' DI ROBERTA RECCHIA - RIZZOLI

18:00

 

Io che ti ho voluto così bene * Roberta Recchia * Rizzoli * pagg. 352


Luca non ha neanche quattordici anni, ma ha una sensibilità silenziosa che lo rende diverso dai coetanei. Con i genitori e il fratello maggiore abita in una località di mare, dove tutto sembra immutabile: un posto sicuro che con la bella stagione si popola anno dopo anno. Un'estate una ragazza piena di vita diventa il suo primo sogno d'amore. Quando però lei scompare, e i carabinieri bussano alla loro porta, l'esistenza di Luca e dei suoi viene segnata per sempre.

Per sottrarre lui, con la sua innocenza di bambino, all'ombra che si propaga inesorabile sulla famiglia, la madre gli riempie in fretta una valigia e lo mette su un treno con un biglietto di sola andata: al Nord lo aspettano lo zio Umberto, professore al liceo, e la zia Mara con le cugine. In un mondo diverso, lontanissimo da quello della sua infanzia, Luca prova a ricostruirsi, cresce e mette nuove radici, cercando di restituire un senso a parole come fiducia e appartenenza. A sostenerlo ci sono lo zio Umberto, che per lui dà tutto se stesso, e Flavia, una ragazzina determinata a fargli ritrovare la speranza nel futuro. Con la sua penna delicata e profonda, Roberta Recchia mette in scena relazioni intense, dialoghi vibranti, e una storia che ci tiene stretti fino all'ultima pagina.




Nel romanzo "Tutta la vita che resta " la Recchia ci aveva catturato con la narrazione di un fatto tragico: la morte di Betta. La violenza subita e l'uccisione della ragazza aveva aperto la porta del male nel piccolo centro di Torre Domizia. Tuttavia, ciò di cui abbiamo letto era, in effetti, solo un lato della medaglia. Qui la Recchia ci fa conoscere l'altro lato, quello che spesso rimane nell'ombra, ma di certo rivela una sofferenza non meno lieve.

L'autrice compie un' azione oserei dire coraggiosa: bloccarci per farci vedere e narrarci di coloro i quali si trovano dall'altra parte di quella medaglia.

Come ha vissuto Luca la morte di Betta, per la quale aveva iniziato a provare dei sentimenti, e il tradimento di Maurizio, fino ad allora suo punto di riferimento? Quanta sofferenza ha portato al papà carabiniere e a sua moglie, l'azione inconcepibile del loro figlio?




Nella prima parte del romanzo tenta di dare risposte proprio a questi interrogativi, mentre nella parte centrale il nostro sguardo si sposta sulla famiglia dello zio di Luca, Umberto. Essa sarà un rifugio per il ragazzo e proprio per questo, si ritroverà contagiata dal virus ormai attaccato a quel terribile cognome e dovrà rivedere il suo modo di vivere.




E le sensazioni, con la scrittura della Recchia, si fanno vive: la paura, lo smarrimento, la solitudine, ma anche la necessità di perdonare che si scontra con la voglia di odiare; ma non tutti riescono a farlo. C'è chi come il papà di Luca è chiuso "in una sofferenza che non lasciava spazio per nient'altro".

Nell'ultima parte poi, ritorniamo su Luca perché proprio quella voglia di odiare che sembrava assopita si risveglia.

Dunque era arrivato a un passo dall'ammazzarlo per scoprire che lui era questo: l'impossibilità dell'odio. E quella intima consapevolezza gli pareva un tradimento verso coloro che, come lui, dal male erano stati travolti. 

E questo senso di smarrimento viene fuori in maniera evidente, travolgente insieme all'angoscia nel sapere che potrebbe essere un sentimento eterno.

Emozioni rimaste sempre attive grazie al fatto che la Recchia non si è lasciata andare a narrazioni prolisse. Tutto è essenziale e ben calibrato.

Ho solo trovato un po' forzata la svolta che ha preso una protagonista che, seppur rappresentando il perdono totale e sincero, mi è apparsa molto divina e poco umana.

Al termine della lettura è rimasto quel punto interrogativo che l'autrice ha sottolineato in una presentazione del libro: "Fino a che punto l'amore ci permette di perdonare?"




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