17 febbraio 2022

RECENSIONE LIZZIE

LIZZIE * Shirely Jackson * Adelphi * pagg. 318  

 


La protagonista, Elizabeth Richmond, ventitré anni, i tratti insieme eleganti e anonimi di una "vera gentildonna" della provincia americana, non sembra avere altri progetti che quello di aspettare "la propria dipartita stando il meno male possibile". Sotto un'ingannevole tranquillità, infatti, si agita in lei un disagio allarmante che si traduce in ricorrenti emicranie, vertigini e strane amnesie. Un disagio a lungo senza nome, finché un medico geniale e ostinato, il dottor Wright, dopo aver sottoposto la giovane a lunghe sedute ipnotiche, rivelerà la presenza di tre personalità sovrapposte e conflittuali: oltre alla stessa Elizabeth, l'amabile e socievole Beth e il suo negativo fotografico Betsy, "maschera crudele e deforme" che vorrebbe fagocitare e distruggere, con il suo "sorriso laido e grossolano" e i suoi modi sadici, insolenti e volgari, le altre due. È solo l'inizio di un inabissamento che assomiglierà, più a che un percorso clinico coronato da un successo terapeutico, a una discesa amorale e spietata nelle battaglie angosciose di un Io diviso, apparentemente impossibile da ricomporre: tanto che il dottor Wright sentirà scosse le fondamenta non solo della sua dottrina, ma della sua stessa visione del rapporto tra l'identità e la realtà.

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Se pensate di leggere un thriller o un horror vi sbagliate. 


La Jackson ci sorprende come solo lei sa fare con un romanzo grottesco, disturbante, sconvolgente per l'animo umano. 


Elizabeth, affetta dal disturbo della personalità multiple, vive con la zia Morgen, dopo la morte della madre. Lavora in un museo svolgendo un'attività  amministrativa che la tiene impegnata tutto il giorno. La sua vita è fatta di abitudini, di routine da non sconvolgere assolutamente. 


L'equilibrio è molto delicato e inizia a vacillare quando i rinfacci della zia Morgen si fanno sempre più pressanti, così come i riferimenti a quel "benedetto patrimonio" che, a breve, non appena compiuti i 25 anni, Elizabeth erediterà.


Così, iniziano ad affacciarsi le altre personalità che erano presenti, fino a quel momento, solo nella sua mente.


La situazione diventa ingestibile per la zia costretta, suo malgrado, ad accettare il consiglio del dottor Ryan cioè, quello di rivolgersi ad uno psicoanalista esperto in tecniche che potrebbero aiutare Lizzie: il dottor Wright. 


Quest'ultimo comprende subito la problematica e la necessità di trattarla con la tecnica dell'ipnosi. Dai diversi incontri emergono le personalità e ad ognuna di queste il dottore attribuisce un nome:


- Elizabeth, "la stupida, ma la più stabile";


- Beth, "dolce e sensibile";


-Betsy, "irresponsabile e smodata";


- Bets, "arrogante e grossolana" e nega la presenza delle altre personalità;


L'intervento del psicoanalista rappresenta una vera e propria missione che definisce: "Risalire l'impianto fognario fino a raggiungere il punto ostruito ed eliminare l'intoppo".


La sente così sua che avvertiremo anche il suo profondo rammarico quando tutto suo operato sembra fallire. Riuscirà a zittire, a far scappare definitivamente le personalità disturbanti e a donare la serenità , tanto desiderata, a Elizabeth?


La Jackson ci presenta il romanzo diviso in sei capitoli ognuno dei quali presenta la vicenda dal punto di vista dei diversi personaggi. In particolare, quelli riferiti al dottor Wright sono scritti in prima persona (tranne l'ultimo), con riferimenti diretti al lettore.


Se, in alcuni momenti sembra di non capirci più nulla, sembra di entrare in un labirinto da cui è difficile uscire, ecco che quasi all'improvviso, come una boccata d'aria, la scrittrice ci tranquillizza fornendoci risposte al teatro così intricato delle vicende narrate.


Questo aspetto veste di genialità, a mio avviso, la penna della Jackson perché il forte disorientamento, l'angoscia e poi l'apparente serenità che l'animo del lettore prova durante la lettura, sono proprio le stesse sensazioni che la vera protagonista prova dentro di sé. 


I personaggi, quelli reali e quelli presenti nella mente di Elizabeth, sono perfettamente descritti. Il registro cambia continuamente adattandosi alle diverse personalità come un vestito confezionato su misura. 


La trama inizialmente è ingarbugliata, ma la testa di Lizzie lo è e la scrittrice ci fa entrare perfettamente nei suoi meandri donandoci delle pause di leggerezza grazie a delle gocce di ironia instillate qua e là. 


Il genio della Jackson sta anche nella capacità di ingannarci facendoci leggere una storia così complicata, focalizzando la nostra attenzione sullo svolgimento della trama per poi trovarci, al termine della lettura, con uno spunto di riflessione sulla condizione dolorosa in cui vivono coloro che soffrono dello stesso disturbo di Lizzie.  



15 febbraio 2022

RECENSIONE LASCIAMI ANDARE, MADRE

 

LASCIAMI ANDARE, MADRE * Helga Schneider * Adelphi * pagg. 130 

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"Dopo ventisette anni oggi ti rivedo, madre, e mi domando se nel frattempo tu abbia capito quanto male hai fatto ai tuoi figli". In una stanza d'albergo di Vienna, alle sei di un piovoso mattino, Helga Schneider ricorda quella madre che nel 1943 ha abbandonato due bambini per seguire la sua vocazione e adempiere quella che considerava la sua missione: essere a tempo pieno una SS e lavorare nei campi di concentramento del Führer.


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Purtroppo questa storia è vera.

Non è frutto dell'immaginazione dell'autrice. È la sua storia.

Quella di una figlia che 57 anni prima si è vista abbandonata, insieme al fratello Peter, da una madre votata a una causa disumana: lavorare nei campi di concentramento, a servizio del Führer.


Helga ha già incontrato nel '71 quella che dovrebbe essere sua madre. 

Un incontro reso ancor più doloroso dall'indifferenza mostrata verso il nipote Renzo, figlio della scrittrice. 

Helga ci riprova nel '98 spostandosi nuovamente dalla terra, l'Italia in cui ha provato a costruirsi una nuova vita, verso quella austriaca, teatro del suo dolore e naturalmente per lei inospitale. 

Se nel primo incontro la mente della madre era ancora terribilmente lucida e pervasa da una convinzione ferma, radicata della vocazione a cui aveva risposto, nel secondo  presenta momenti caratterizzati dalla perdita della memoria più recente e da uno sguardo perso. Il sangue chiama, accompagnato dalla speranza impetuosa di non veder spezzato l'ultimo, debole laccio che lega Helga alla madre. 

Helga, nel suo cuore, ha perdonato la madre per averli abbandonati, ma per ciò che ha compiuto verso il popolo Ebreo, no!

Come vorrebbero sentire le sue orecchie una flessione nella voce tendente ad abbandonare la rigidità delle sue scelte. 

Come vorrebbe vedere negli occhi un luccichio che mostri un minimo di pentimento.

Da quella bocca che avrebbe dovuto cantare nenie e proferire parole d'amore, Helga riesce a tirare  fuori, piegandosi anche a ricatti morali, aneddoti, episodi truci che di umano non hanno assolutamente nulla sperando quasi che la madre possa ravvedersi. 

Donna che ha dato la vita a due figli, ma che l'ha tolta a migliaia, istruita a non provare alcun sentimento di compassione.

Donna, non madre!

Helga ci racconta il suo tormento interiore, il suo desiderio di perdono che si scontra con un non pentimento, l'evoluzione poi in un desiderio ad odiare pur di liberarsi da quel legame che le provoca ribrezzo. 

"Solo odiandoti sarei finalmente capace di strapparmi dalle tue radici. Ma non posso. Non ci riesco"

Man mano che va avanti il colloquio presso la casa di riposo che orami ospita la sua genitrice, un sentimento primordiale si evolve:  

"E mi rendo conto che se fino a ieri avvertivo la sua assenza come un'ossessionante presenza, ora la sua presenza è un'irrevocabile assenza".

Grazie a questo incontro riaffiorano in Helga episodi della sua infanzia ormai dimenticati per inserirli in un quadro familiare e storico che si riveste di tragicità. 

Tutto ciò ha portato in me un forte turbamento immaginando soltanto quello psicologico dell'autrice che con una penna semplice, fluida e diretta permette di non dimenticare, ma purtroppo anche di conoscere nuove atrocità  inimmaginabili. 

E quella virgola posta tra "lasciami andare" e "madre", va a sottolineare in maniera ancora più forte e decisa la profonda sofferenza nell'accettare una separazione definitiva alla quale sperava di non dover arrivare. 

05 febbraio 2022

RECENSIONE JOYLAND

JOYLAND * Stephen King * Sperling & Kupfer * pagg.351

 


Estate 1973, Heavens Bay, Carolina del Nord. Devin Jones è uno studente universitario squattrinato e con il cuore a pezzi, perché la sua ragazza lo ha tradito. Per dimenticare lei e guadagnare qualche dollaro, decide di accettare il lavoro in un luna park. Arrivato nel parco divertimenti, viene accolto da un colorito quanto bizzarro gruppo di personaggi: dalla stramba vedova Emmalina Shoplaw, che gli affitta una stanza, ai due coetanei Tom ed Erin, studenti in bolletta come lui e ben presto inseparabili amici; dall'ultranovantenne proprietario del parco al burbero responsabile del Castello del Brivido. Ma Dev scopre anche che il luogo nasconde un terribile segreto: nel Castello, infatti, è rimasto il fantasma di una ragazza uccisa macabramente quattro anni prima. E così, mentre si guadagna il magro stipendio intrattenendo i bambini con il suo costume da mascotte, Devin dovrà anche combattere il male che minaccia Heavens Bay. E difendere la donna della quale nel frattempo si è innamorato.


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Quale modo migliore per riprendersi da una delusione amorosa se non andando a un luna park che, con le sua attrazioni, le luci e le musiche porti i pensieri lontano da colei che ha infranto il cuore?

Bene, Devin Jones non solo decide di andare a Joyland, ma di lavorarci così da metter da parte anche qualche soldo per pagarsi gli studi universitari. 

È Devin stesso, dieci anni dopo, a raccontarci di questa estate che lo vedrà protagonista della sua stessa vita insieme alla donna di cui si innamorerà. 

L'accoglienza da parte dei veterani del luna park è fatta di raccomandazioni rudi su come svolgere il lavoro meccanico e su come utilizzare correttamente lo slang del parco dei divertimenti. Tranne per Madame Fortuna, la "zingara", che, con le sue premonizioni, sorprende Devin soprattutto quando lo invita a non "far suonare i dischi della morte nella sua testa".

Un'estate, quella del '73, fatta di sacrifici per Devin, ma lo richiede il cuore e il portafoglio. Sembrerebbe tutto noioso, ma pian piano  ci prende gusto a vendere il divertimento. Quando a questo si aggiunge poi, la voce di un fantasma intrappolato nel Castello del Brivido, tutto si fa più interessante. Quattro anni prima infatti, lìfu uccisa una ragazza e il colpevole rimasto impunito. 

Ogni giorno Devin va  a lavorare avendo come unico pensiero quello di non aver pensiero verso colei che lo ha deluso, ma in realtà un altro, più recondito, piano piano si fa largo ed è quello di capire chi ha ucciso quella ragazza. In lui prende vita la necessità di darle pace facendole giustizia. 

King ci fa percepire in pieno questa necessità del protagonista. Ci fa assistere alla sua maturazione e all'aumento della consapevolezza che Joyland non è un semplice luna park e che può dargli altro. L'autore  ci porta letteralmente insieme al protagonista al luna parkd grazie alle sue descrizioni dettagliate e mai noiose degli ambienti. Mette nel lettore la consapevolezza che qualcosa sta per accadere, portandolo a leggere un libro di circa 350 pagine. in cui la svolta avviene nelle ultime trenta/quaranta senza lasciare alcun senso di delusione. 

È il primo libro che leggo di King e l'ho trovato interessante e stimolante nel senso che mi porta con grande curiosità a leggere ancora di questo autore.

Mi ha attratto la scrittura fluida che sembra raccontare qualcosa di semplice, ma che in realtà è un coperchio che nasconde una storia tragica, rovinosa, dolorosa. Questa apparenza che inganna è ancor più beffarda perché capace di raccontare anche di un nuovo amore senza alcuna stucchevolezza.