RECENSIONE 'IL PASSATO È UN MORTO SENZA CADAVERE' DI ANTONIO MANZINI - SELLERIO
14:00
Il passato è un morto senza cadavere * Antonio Manzini * Sellerio * pagg. 576 |
Quando viene chiamato su una strada di montagna, al vicequestore Rocco Schiavone basta uno sguardo per capire di trovarsi di fronte a una rottura del decimo livello della sua personalissima classifica. Un ciclista, infatti, è stato vittima di un incidente. Il morto si chiama Paolo Sanna, un cinquantenne che da un po' di tempo abita in zona ma che apparentemente nessuno conosce. Dai primi accertamenti risultano subito delle stranezze. Sanna era abbiente se non addirittura ricco, ma senza occupazione, nel tempo aveva cambiato periodicamente residenze in tutto il Nord Italia, sporadiche e superficiali amicizie, qualche amore senza conseguenze, parenti lontani e poco frequentati: insomma, «una specie di ectoplasma ai margini della società». A complicare le cose, c'è il rebus del taccuino trovato nella sua abitazione, una lista di nomi, sigle e numeri indecifrabili. Il quadro è quello di un uomo in fuga. Ma una fuga lunga, senza fine, se non fosse stato per quell'urto in montagna. Per vederci chiaro bisogna indagare nel passato, andando il più a fondo possibile, un passato che fa sprofondare il vicequestore di Aosta negli anni di gioventù di un gruppetto affiatato. Rocco vorrebbe procedere come al solito, pesante come un pugno e sottile come uno stiletto, ma è di sottigliezza che ha soprattutto bisogno, anche perché si fa sempre più drammatico il timore per la scomparsa inspiegabile di una persona, una donna, a cui qualcosa di intenso lo lega.
Siamo arrivati al quattordicesimo libro della serie su Rocco Schiavone.
Una lunga serie che sembra non voler finire più. Io e le appassionate del vicequestore contavamo, e lo speravamo vivamente, di vedere la parola "fine", ma niente da fare! La storia non finisce.
Vi chiederete: " Come mai se sei appassionata vuoi vedere la fine di un personaggio?" (sto sentendo le voci delle centinaia di persone che se lo stanno chiedendo). Il punto è che proprio per il forte attaccamento al personaggio, vederlo pian piano snaturato, fa male e sarebbe meglio lasciare un ricordo del Rocco di cui mi sono innamorata che vederlo evolvere in un personaggio che si avvicina ad altri cento. Leggere, per esempio, di uno Schiavone sensibile alla questione ecologica, mi ha spiazzato. Ancor di più quando queste riflessioni sono poste a pag.22 e solo lì! Come un pezzetto di guscio caduto per sbaglio, mentre rompi l'uovo.
Schiavone si apriva a riflessioni più profonde e svestiva i panni dell'ironia e del sarcasmo solo con Marina, nelle sue visioni. Qui invece, spesso e non volentieri per me, mi sono trovata dinanzi a domande poste da Rocco, come: " Ti piace la nebbia?", da cui scaturiscono considerazioni intime, senza un briciolo di irrisione.
Passando alla storia narrata, come nei precedenti romanzi, il giallo che vede impegnato il vicequestore con la sua squadra, è affiancato da un'altra faccenda che tocca la sua sfera più personale. L'omicidio da risolvere fa scaturire delle indagini contorte e che vedono coinvolte tanti attori e che spingono gli agenti da Aosta al Friuli e poi ancora nelle Marche. È una colonna importante del romanzo a cui fa contorno un'altra vicenda che terrà molto impegnato Rocco, soprattutto mentalmente. Questo suo coinvolgimento è forte, così forte che la storia da contorno è diventata un secondo primo piatto. Tanta carne al fuoco, per rimanere in ambito culinario, per giunta cucinata non bene.
Il giallo mi ha lasciata l'amaro in bocca per un finale insoddisfacente. La seconda vicenda è così corposa che Manzini ci avrebbe potuto scrivere un altro romanzo, visto che di finire non ne ha voglia.
Di una cosa ho paura: è sembrato di intravedere la parola "fine" a una parte della vita di Schiavone, ma scritta in maniera fugace, labile e, se così fosse, sarebbe una grande delusione perché avrebbe meritato di più. Spero vivamente di sbagliarmi. Spero anche di rivedere Schiavone dei primi tempi, ma impegnato a chiudere le tende del sipario.
Il punto è che Manzini comunque mi tiene legata a sé. Anche se continuerà a pubblicare, io continuerò a leggere di Rocco. Primo perché non voglio perdermi il finale ("Ancora!" direte voi, "Ma io ci spero", dico io) e poi, perché ho bisogno di leggere ancora di D'Intino e Deruta che sono i personaggi all'interno della squadra, più simpatici; quelli che mi hanno strappato il sorriso proprio mentre stavo pensando a come scrivere una recensione non proprio positiva.
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