RECENSIONE L'equilibrio delle lucciole di Valeria Tron - Salani

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L'equilibrio delle lucciole * Valeria Tron * Salani * pagg.400





Ogni punto di partenza ha bisogno di un ritorno. Per riconciliarsi con il mondo, dopo una storia d'amore finita, Adelaide torna nel paese in cui è nata, un pugno di case in pietra tra le montagne aspre della Val Germanasca: una terra resistente dove si parla una lingua antica e poetica. È lì per rifugiarsi nel respiro lungo della sua infanzia, negli odori familiari di bosco e legna che arde, dipanare le matasse dei giorni e ricucirsi alla sua terra: 'fare la muta al cuore', come scrive nelle lettere al figlio. Ad aspettarla - insieme a una bufera di neve - c'è Nanà, ultima custode di casa, novant'anni portati con tenacia. Levì, l'altro anziano che ancora vive lassù, è stato ricoverato in clinica dopo una brutta caduta. Isolate dal mondo per quattordici giorni, nel solo spazio di quel piccolo orizzonte, le due donne si prendono cura l'una dell'altra. Mentre Adelaide si adopera per essere utile a Nanà e riportare a casa Levì, l'anziana si confida senza riserva, permettendole di entrare nelle case vuote da tempo, e consegnandole la chiave di una stanza intima e segreta che trabocca di scatole, libri ricuciti, contenitori e valigie, in cui la donna ha stipato i ricordi di molte vite, tra uomini, fiori, alberi e animali, acqua e tempo. Una biblioteca di esistenze, di linguaggi, gesti e voci, dove ogni personaggio è sentimento, un modo di amare. Fotografie, lettere, oggetti che sanno raccontare e cantare il tempo: di guerra e povertà, amori coltivati in silenzio, regole e speranza, fatica e fantasia. Un testamento corale che illumina le ombre e le rimette in equilibrio. La bellezza intensa che respira oltre la vita e rimane in attesa di parole. Tuffarsi nella memoria significa avere il coraggio di inventare un altro finale e vivere oltre il tempo che ci è stato concesso, per ritrovare il luogo intimo di ognuno. La casa.




Val Germanasca è una valle alpina nella zona di Torino.
Qui Adelaide torna dopo una delusione d'amore.
Torna con il desiderio di sanare una ferita e di trovare una medicina in grado di farlo nella sua casa.
Qui si riunirà alle figure della sua infanzia, quelle con cui condividere questo cammino di risanamento.
Conosceremo Nanà, tesoriera della lingua Patois che, nonostante i suoi 90 anni, vuole portarla nel futuro per non farla morire. Adelaide ritrova anche Levì che, seppur assente  fisicamente è presente con la parola lasciata nella sua casa. L'impegno quotidiano nel riassettarla sarà uno spolverare ricordi radicati i tempi non conosciuti ai suoi occhi. 
Nenè l'aiuterà nella scoperta e così Adelaide conoscerà sé stessa entrando sempre di più nella sua 
casa interiore.
Tutto si rivestirà di una maturità che non pensava potesse appartenere ai suoi cari. Un esempio di ciò è soprattutto Leda, regola fatta persona che nascondeva dentro di sé una  passione profonda.
Il moto di discesa e ascesa tra la valle e il paese è metafora del movimento di una bilancia in cerca di equilibrio.

Due sono gli equilibri che occorrono: quello naturale e quello intuitivo. Il primo è la costante rigida intorno alla quale tutto muove: le stagioni, l'erba, gli uomini, i campi, e il secondo credo sia nella capacità di ricredersi per raccontare con occhi nuovi il tempo delle piccole cose. 


Così come Adelaide ha vissuto una metamorfosi da bruco a farfalla, così è stato il mio approccio a questo romanzo, sinceramente intimorita dall'uso di una lingua, come quella Patois, che poteva essere un freno allo scorrere della lettura. Credo che questo timore sia stato compreso dalla scrittrice che, con grande rispetto la fa entrare in scena, in punta di piedi; piano piano, un po' per volta, per farci abituare a questa protagonista difficile da comprendere, fino a farla diventare essenziale nel testo narrativo e una piacevole compagna di viaggio.

Ho amato questa scoperta a cui sono giunta grazie a un sentiero dapprima disorientante, anonimo, ma ho sentito, avvertito qualcosa che mi spingeva ad andare avanti. Quel "qualcosa" è stato il ritrovarmi nei vari personaggi che si affacciavano perché ognuno di essi portava con sè, identificava un sentimento preciso: fedeltà, intelligenza, passione, rispetto. Abituata ad escursioni che partono da strade difficili che sembra non conducano a nulla, ho continuato per trovarmi dinanzi all'apertura che speravo di incontrare e  che ogni volta appare sorprendente.
Un'apertura che sa di casa interiore, meizoun, casa che risponde al grido sordo d'aiuto.

Sono stata conquistata, come un vero e proprio corteggiamento, dalla scrittura della Tron, figlia di una lingua antica, fatta d'immagini, "altamente cinematografica" (cfr. Tron),  che diventa attuale sulle labbra di Adelaide, più meditativa su quelle di Nenè e arcaica con Lena.

Descrizioni fotografiche, lucide, artistiche, in alcuni punti oniriche.
Ho percepito forte l'amore dell'autrice per la sua terra, la sua casa, la sua lingua con la forte volontà di tramandarla.
È un libro che sa di intimo, di calore, di sentimenti da riscoprire avendo come sottofondo la musica della lingua Patois. 





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