RECENSIONE IL FILO AVVELENATO di Laura Purcell - Mondadori

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IL FILO AVVELENATO * Laura Purcell * Mondadori * pagg. 420

Gran Bretagna, prima metà dell'ottocento. Dorothea Truelove è giovane, bella e ricca. Ruth Butterham è giovane, ma povera e consumata da un segreto oscuro e terribile. Un segreto che rischia di condurla alla forca. I loro destini si incrociano alla Oakgate Prison, dove Ruth è rinchiusa in attesa di processo per omicidio e dove Dorothea si dedica ad attività caritatevoli; soprattutto, qui la ragazza trova il luogo ideale per mettere alla prova le neonate teorie della frenologia – secondo cui la forma del cranio di una persona spiega i suoi peggiori crimini – che tanto la appassionano. L'incontro con Ruth fa però sorgere in lei nuovi dubbi, che nessuna scienza è in grado di risolvere: è davvero possibile uccidere una persona usando solo ago e filo? La storia che la prigioniera ha da raccontare – una storia di amarezze e tradimenti, di abiti belli da morire – scuoterà la fede di Dorothea nella razionalità e nel potere della redenzione.



Laura Purcell ci conduce nella Gran Bretagna del primo ottocento, caratterizzata dalle atmosfere gotiche, cupe, annerite dal carbone usato per riscaldare le abitazioni durante il gelido inverno. Un lusso per pochi; spesso, infatti, a riscaldare casa era solo una candela che fungeva anche da lume, preziosa fonte di luce nelle notti trascorse ad ultimare i lavori di cucito e ricamo destinati alle nobili signore. 

Sono, queste, le atmosfere che avvolgono la vita di Ruth. Ha da poco lasciato la scuola, suo malgrado, per dare alla famiglia qualcosa da mettere sotto i denti. Il suo talento di abile ricamatrice viene scoperto per caso dalla madre che a stento riesce a continuare nella sua attività a causa della vista che inizia a spegnersi.

Se l'attività di sarta sarà al centro della storia di Ruth, per quella di Dorothea Truelove sarà l'amore per la frenologia, dottrina pseudoscientifica dell'Ottocento, secondo la quale determinate funzioni psichiche dipenderebbero da specifiche regioni del cervello. Una passione, questa, portata avanti nell'esercizio delle attività caritatevoli. come quella di andare a visitare i carcerati.

Le due donne si incontreranno proprio nel carcere dove Ruth è detenuta perché rea confessa dell'omicidio della sua padrona. Dorothea arde dal desiderio di conoscerla, di parlarle, ma soprattutto di misurare il suo cranio per contribuire ai suoi particolari studi.

Il romanzo si presenta costruito su due apparenti spazi temporali e con le due voci narranti delle protagoniste. Se all'inizio quello di Ruth sembra un semplice flashback, in realtà ci accorgeremo presto che si tratta del racconto che ella fa a Dorothea della sua vita, e quel che pare un semplice rievocare ciò che è stato, si rivelerà la strada verso la verità.

Verremo a sapere che Ruth riversa in ciò che ricama il suo odio latente e il male ricevuto per restituirli, attraverso l'utilizzo degli accessori e dei vestiti da lei creati, in particolare dei corsetti. Da uno di quest'ultimi tutto ha origine e in esso troverà la fine. 

Dorothea, orfana di madre, grazie al suo impegno in carcere cerca di sfuggire da un matrimonio combinato, e dalle parole di Ruth deduce, in un primo momento, che la ragazza abbia perso la ragione nel caos vissuto durante l'infanzia .
" Il dolore di una perdita è un'emozione violenta, una sorta di acido in grado di corrodere la parte migliore di noi. Chi piange un lutto è in agonia, cerca disperatamente qualcuno da incolpare, e quando non trova il colpevole rivolge contro se stesso la propria furia"

Le successive ricerche sulla discendenza della ragazza assumono più una valenza scientifica che una finalità spirituale per un'anima dannata e la portano a pensare che "Ruth si è semplicemente raccontata un storia per aiutarsi a convivere con un dolore che era incapace di gestire" .

Laura Purcell ci pone dinnanzi alla dicotomia tra queste due donne. Ruth, una povera che vive nel buio inteso come assenza di luce, ma anche come assenza di Dio nell'abisso del peccato. Dorothea, ereditiera che vive nella luce e che intende portarla a coloro che ne sono sprovvisti. È una separazione che, con il proseguire della lettura, perderà la sua linea di confine.

Con una scrittura molto tattile e, oserei dire, "olfattiva" assisteremo all'evolversi dei fatti e alla maturazione psicologica delle protagoniste verso il compimento delle rispettive esistenze. Emergono, soprattutto in Ruth i flussi di coscienza che sostengono il suo agire. In Dorothea invece, troveremo delle sfumature a tratti ironiche che vanno a smorzare il dramma di un destino imposto da altri.

I personaggi principali e quelli secondari sono presentati in maniera corretta rispetto al ruolo assunto nella storia. Nulla mi è sembrato ridondante o noioso. Anche le descrizioni delle atmosfere, degli ambienti, rendono pienamente il senso di povertà e di disagio, ma anche le sensazioni di freddo, di disgusto.

Il tocco poi, che ha reso ottimale questo mio primo incontro con l'autrice, è stato il colpo di scena finale, impostosi come ultimo atto rivelatorio di un mortifero veleno che scorre lentamente nelle vene della trama.

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