Recensione Sono contenta che mia mamma è morta di Jennette McCurdy - Mondadori

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Sono contenta che mia mamma è morta * Jennette Mc Curdy * Mondadori * pagg. 384




Jennette McCurdy aveva solo sei anni quando si presentò al suo primo provino. La madre sognava che diventasse una star e Jennette avrebbe fatto qualsiasi cosa per compiacerla. Compreso digiunare e pesarsi cinque volte al giorno, sottoporsi a estenuanti ore di trucco e rinunciare a qualsiasi forma di privacy. In queste pagine ricche di innocente candore e umorismo nero, racconta la sua infanzia e adolescenza, senza timore di toccare temi scottanti come i disturbi alimentari, le dipendenze e le relazioni familiari.



Jennette McCurdy inizia la sua carriera nel 2000 quando dopo anni di provini per diversi ruoli, riesce finalmente ad aggiudicarsi quello nella serie televisiva MADtv. Da qui inizia la sua attività lavorativa come attrice che, tra alti e bassi, si è chiusa nel 2021 con la conferma di un ritiro definitivo.

Un percorso doloroso quello di Net.

Sin da bambina incarna la possibilità di vedere realizzato il sogno che la madre non ha potuto concretizzare. Un'infanzia caratterizzata non da giochi o feste di compleanno con gli amici, ma da provini massacranti che definiscono in Jennette la convinzione che è quella l'unica cosa da fare per far piacere alla madre e non renderla triste. Ogni minimo dubbio sul suo destino, anche se non viene esplicitato, viene percepito dalla mente di Debbie (la madre) che, immediatamente interviene.

Non essere sciocca, tu ami recitare. È la cosa che preferisci al mondo

Una madre che sfrutta la sua malattia per farsi spazio nell'affollato mondo delle audizioni.

Il progetto per sé non è stato possibile realizzarlo. Lo può fare con Net e allora tutto sarà orientato al raggiungimento di questo obiettivo, al costo di annullare le tappe di una vita. 


Una bambina che non solo assiste a un rapporto turbolento tra i genitori, ma fa dell'ansia una costante che non sembra poter andare via. 


L'ansia mi spinge a cercare sempre di compiacere gli altri. È per l'ansia che mi faccio fotografare, che firmo autografi e dico che tutto questo è divertente... E ho paura di provare risentimento nei confronti di mia madre. La persona per cui ho vissuto. Il mio idolo. Il mio modello. Il mio unico vero amore 


La possibile delusione che può arrecare alla madre  è un peso onnipresente.

Occorre accondiscenderla in tutto, perfino nella scelta del gusto del gelato.

I problemi si acuiscono quando Net presenta i primi segni di crescita. Debbie inizia a vedere segnali di pericolo in ciò, potrebbe allontanarsi da lei, dal sogno da concretizzare, dalle sue grinfie. Come allontanare tutto ciò? Come farla restare bambina ? Ecco che interviene in ambito alimentare e inizia a mettere in moto meccanismi che porteranno Jennette all'anoressia prima e alla bulimia poi.

Questi non smetteranno neanche quando la fama creerà una  frattura tra lei e la madre.


Lei voleva tutto questo. E io volevo che l'avesse. Volevo che fosse felice. Ma ora che ce l'ho, mi rendo conto che lei è felice e io no. La sua felicità è arrivata a mie spese. Mi sento derubata e sfruttata...

Solo la terapia aiuterà Jennette per liberarsi da un peso enorme, da quel cordone ombelicale che mai è stato tagliato.

Al termine della lettura mi sono chiesta il perché del titolo e penso che, in fondo, non sia la verità. 

Mi sembra un modo per autoconvincersi di un evento che, come dice lei stessa, le ha portato più domande che risposte. Quindi la morte non l'ha resa libera, ma ancora più schiava delle conseguenze di una maternità malata. Jennette cerca di uscire da questa schiavitù andando in terapia, ma l'impronta della madre è difficile da cancellare.


Un memoir che potrebbe rappresentare un esercizio dato allo psicologo a Jennette e che mi auguro possa averle dato la serenità che merita, ma di certo non le restituirà un'infanzia non vissuta affatto.


È un romanzo che fa tanto riflettere e penso che, se a leggerlo sia un genitore, i punti interrogativi saranno proprio tanti.  

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