RECENSIONE 'L' ANIMALE FEMMINA' DI EMANUELA CANEPA - EINAUDI

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L'animale femmina * Emanuela Canepa * Einaudi * pagg. 272




Rosita è scappata dal suo malinconico paese, e dal controllo asfittico della madre, per andare a studiare a Padova. Sono passati sette anni e non ha concluso molto. Il lavoro al supermercato che le serve per mantenersi l'ha penalizzata con gli esami e l'unico uomo che frequenta, al ritmo di un incontro al mese, è sposato. Ma lei è abituata a non pretendere nulla. La vigilia di Natale conosce per caso un anziano avvocato, Ludovico Lepore. Austero, elegante, enigmatico, Lepore non nasconde una certa ruvidezza, eppure si interessa a lei. La assume come segretaria part time perché possa avere piú soldi e tempo per l'università. In ufficio, però, comincia a tormentarla con discorsi misogini, esercitando su di lei una manipolazione sottile. Rosita la subisce per necessità, o almeno crede. Non sa quanto quel rapporto la stia trasformando. Non sa che è proprio dentro una gabbia che, paradossalmente, si impara a essere liberi.



Rosita lavora come commessa in un supermercato. Lavoro faticoso, con turni che lasciano poco spazio alla vita privata, ma è necessario per mantenersi, racimolare quella cifra per saldare un debito e continuare gli studi in medicina. Tutto pur di non tornare nel suo paese: Caserta. Una prigione in cui il  secondino è la madre che la tormenta ancora con telefonate e artefatti che possano riportarla da lei. 
La avvilisce e la mortifica sottolineando quella che per lei è l'incapacità di Rosita di mantenere e raggiungere gli obiettivi preposti.
Padova ha rappresentato la boccata di ossigeno, il taglio di un cordone ombelicale che la tratteneva a quel grembo avaro d'amore. 
Poi, un giorno, un fatto inaspettato la porta a conoscere l'avvocato Lepore, molto noto sulla piazza e prossimo alla pensione. 
Un fatto che la porta a un cambiamento inaspettato e la costringe a una svolta ad U su una strada che non sembrava avesse altri possibili sensi di marcia.

Rosita parla poco, ma pensa tanto! Quanto vorrebbe dire, ma considera sempre inutili le sue riflessioni e allora tace e accetta supinamente.
Rosita si accontenta delle persone, delle situazioni, dei sentimenti. Si ritiene così immeritevole che crede di non poter pretendere di più di ciò che ha e che le viene dato.
Se in un primo momento la sollecitudine di Lepore la porta a confidarsi con lui in maniera sorprendente anche per sé stessa, poi la conoscenza della sua persona e di ciò che pensa dell'universo femminile, la porta a rivedere i confini.
Quella che Lepore rivelerà è una vera e propria misoginia. 
Con lui e Rosita, l'universo femminile verrà scandagliato.

Niente giudizi da parte mia. Sentivo che c'era un motivo dietro a tanto astio.
La Canepa ce lo fa comprendere con dei flashback che ci riportano al 1958 e, con questi salti temporali, il presente ha avuto più senso.

Questo è il primo romanzo della Canepa e io ho deciso di recuperarlo dopo aver letto Resta con me sorella e aver scoperto la profondità della sua penna.

Pur essendo il primo, non c'è alcun segno di immaturità e inesperienza. Non riesco a darle il massimo dei voti solo per il finale che mi è apparso un po' frettoloso, incompiuto e mi ha lasciato qualche dubbio. Per il resto, la scrittura della Canepa ha generato ancora una lettura avida di sapere e lo sforzo di inghiottire verità scomode, sfacciate e raccontate in maniera diretta, fastidiosa. Verità che riguardano il nostro mondo, quello delle donne. Verità condivisibili nel contenuto, se ci si libera da ogni fissazione, ma un po' meno nel modo in cui Lepore le spiattella a Rosita. Ma anche qui la scrittrice riesce a farci comprendere il perché di tanto odio. 



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